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e poco dopo: questo esercito mi pare piuttosto pieno d’insolenza che di valore... Io più tosto temo che spero del successo di questa impresa; et quello che più mi fa temere è, che veggio che apertamente Sua Maestà s’inganna nelle cose più importanti, giudicando il suo esercito maggior di numero, et quel de’ nemici minore di ciò che in effetto sono... Io vedo questo campo con quel poco ordine che era quando i nemici eran lontani; nè a questa troppa sicurtà so dare altro nome che imprudentia o temerità. Guicciardini870, presso a poco, dice lo stesso: Risedeva il peso del governo dell’esercito presso all’ammiraglio; il re, consumando la maggior parte del tempo in ozio o in piaceri vani, nè ammettendo faccende o pensieri gravi, dispregiati tutti gli altri capitani, si consigliava con lui: vedendo ancora Anna di Momoransi, Filippo Ciaboto di Brione, persone al re grate, ma di picciola esperienza nella guerra: nè corrispondeva il numero dell’esercito del re a quello che ne divulgava la fama, ma eziandio a quello che ne credeva esso medesimo.

Ho procurato d’indagare come mai il duca Francesco Sforza, principe che non mancava di valore, s’accontentasse di starsene quasi ozioso nel Cremonese, mentre si disponeva il gran fatto d’armi che doveva decidere del destino dello Stato suo. L’armata cesarea era comandata dal vicerè di Napoli don Carlo Lannoy: ivi trovavasi il duca di Bourbon, ivi il famoso don Ferdinando d’Avalos, marchese di Pescara, ivi il marchese del Vasto; ed il duca Sforza, che alla Bicocca e ad Abiategrasso