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una grandine dalla quale vennero flagellate e devastate le nostre campagne; col modo di ragionar volgare attribuendosi il fenomeno fisico allo sdegno dei santi, i quali bramassero riposo ed oscurità, anzi che luce e movimento; e traducendosi i Benedettini siccome rei di sacrilegio e di pubblica sciagura; non furono essi più sicuri non solamente nelle piazze e per le vie della città, ma nemmeno nel loro monastero; e dice il Prato ch’essi furono sì sconciamente battuti, che tal fu di loro, che vi lasciò non solamente la cappa, ma et la forma di quella. Nè la supposta empietà di cavare dalla tomba i santi bastava a spiegare allora cagion della grandine. La inquisizione non volle starsene oziosa; volle trovar delle streghe colpevoli di quel turbine, e volendolo efficacemente, se ne trovano sempre. Alcune infelici donnicciuole avevano dei segni, quai fossero non lo sappiamo; bastarono però a farle splendidamente gettar nel fuoco. Si ascolti il Prato: anche da li segni le quali, judicate dalla inquisizione per strie, furono in quelli medesimi dì a Ornago et a Lampugnano sul monte di Brianza a gran splendore arse. Convien dire che anche nel ceto ecclesiastico allora l’ignoranza fosse grande; e merita d’essere riferito a tal proposito un fatto singolare che ci vien raccontato e dal Prato e dal Burigozzo. Un uomo sen venne a Milano grande, sottilissimo per l’estrema magrezza, che, andando scalzo, vestito di rozzo panno, a capo scoperto, non portando camicia, vivea con pane di miglio, erbaggi ed acqua, e dormiva sulla nuda terra. Costui, presentatosi alla curia arcivescovile, chiese il permesso di predicare; ma siccome egli era laico e non fregiato di alcun ordine ecclesiastico, gli venne ciò negato. Malgrado