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Milanese, mosse colla maggiore sollecitudine i suoi maneggi per concertarsi col papa Leone X, detto prima il cardinal Giovanni de’ Medici, che combattè a Ravenna contro dei Francesi. Sommamente stava a cuore al pontefice l’assicurare alla sua casa in Firenze quella sovranità che effettivamente godeva, sebbene sotto apparenza di repubblica, e sempre per se medesima precaria. Il re si fece garante di mantenere il governo di Firenze nel sistema in cui si trovava. La città di Bologna, e per la sua grandezza e per la situazione vantaggiosa, premeva al papa di possederla assai più di quello che dovessero interessarlo Parma e Piacenza. I Francesi avevano mantenuti i Bentivogli nella signoria di quella città, anche cogli ultimi fatti del duca di Nemours, che ne aveva discacciati i pontificii, i quali l’assediavano. Il re si mostrò disposto ad abbandonare i Bentivogli, e guarentire Bologna alla Santa Sede. In compenso il papa doveva riconoscere il re come sovrano del ducato di Milano, e restituirgli Parma e Piacenza, come due città dipendenti dal ducato. Così venne concertato, ed il trattato venne sottoscritto in Viterbo il giorno 13 di ottobre 1515.
Quantunque i Francesi possedessero Milano sino dal giorno 17 settembre, il re, sin che non ebbe la dedizione del castello, volle risedere a Pavia, ed in Milano dimorava il contestabile di Bourbon, luogotenente e governatore a nome del re. Resosi poi padrone del castello, il re fece la sua solenne entrata in Milano il giorno 11 d’ottobre 1515. Lo corteggiavano il duca di Savoia, il duca di Lorena, il marchese di Monferrato, il marchese di Saluzzo, e varii altri signori, tutti partecipi della battaglia di San Donato. Alla porta Ticinese