Pagina:Storia di Milano II.djvu/183

sostenere il popolo; per lo che, conoscendo il Trivulzio che l’impresa non era tanto facile quanto l’aveva sperata, con qualche uccisione de’ suoi, si ritirò all’armata, ch’era accampata a Boffalora. Il duca, per sempre più animar la plebe, fece proclamare ch’egli voleva affidar le chiavi della città al suo popolo; che in avvenire voleva rendere immuni i cittadini da ogni aggravio, e che i pesi dello Stato dovevano portarli i ricchi e i nobili. Contemporaneamente vennero cacciati i nobili dalle magistrature municipali, e collocate persone le più accette alla plebe. L’odio ereditario contro de’ nobili si manifestò con eccessi d’ogni sorte. La plebe, sensibile alle prepotenze ed al fasto orgoglioso de’ magnati, non ebbe limite, dappoi che venne sciolta ad agire, anzi animata. La roba, la vita de’ nobili non rimase più sicura; e il duca, arbitrariamente, esigeva esorbitanti sussidi dai facoltosi, usando ridire spesse fiate: essere meglio rovinare ch’essere rovinato. Così procurò egli d’impegnare in sua difesa il numero maggiore e i più determinati sudditi, come quelli che poco hanno da perdere.

Se dall’una parte questa imponente e vigorosa comparsa del re in Italia cagionava molta inquietudine al partito dello Sforza, non lasciava dall’altra di valutarsi il numero e la risolutezza degli Svizzeri, pronti a discendere, e l’animo de’ popolani del paese, che già s’era manifestato. Quindi in Gallarate s’erano introdotti da ambe le parti discorsi d’accomodamento; anzi erasi al punto di stabilire la pace, collo sborso di grosse pensioni del re di Francia agli Svizzeri; e gli articoli principali, che già sembravano accordati, erano: