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al castello erano le case coperte di panni di razza, con li padiglioni sopra; come dice il Prato, che descrive la pompa essere stata tale, che ardiva paragonarla ai trionfi de’ Romani antichi. Vi erano quattro archi trionfali, e l’ultimo sulla piazza del castello, il quale, fra gli altri belli, era bellissimo, d’altezza di più di cinquanta braccia, disopra avendo di rilievo la imagine del re, sopra un cavallo tutto messo a oro, di maravigliosa grandezza, con due giganti a canto, e tutte le commesse battaglie intagliate e dipinte, che era una bellezza a vedere, e più superba cosa saria stato, se la subita venuta del re non avesse il mezzo dell’opera intercisa; così il Prato. Il re era preceduto da carri dorati, che rappresentavano le città sottomesse, alla foggia de trionfi romani. S’era preparato un magnifico carro trionfale, tutto dorato e condotto da quattro cavalli bianchi, coperti superbamente di ricamo, e scortato da ventiquattro pomposi custodi; ma il re non volle ascendervi e rimase a cavallo, corteggiato da gran numero di principi, conti e marchesi, ducento gentiluomini francesi, e molti gentiluomini milanesi sì superbamente vestiti, che il più domestico abito era semplice broccato; così il Prato. Il re poco dopo tornò in Francia.
Mentre i Francesi riunivano al ducato di Milano Brescia, Bergamo e Como, l’imperatore possedeva Verona, Vicenza e Padova; e il papa s’era reso padrone di Ravenna, Cervia, Imola, Faenza, Forlì, Rimini e Cesena. Ma, come accade sempre alle forze collegate, che i separati interessi de’ soci