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raggiunto. Quindi, in più stretta custodia collocato nel castello di Loches, finì i suoi giorni nel 1508, ai 27 di maggio, nell’anno cinquantesimosettimo di sua vita. Principe a cui furono rimproverate le morti del duca Giovanni Galeazzo, e dell’onorato e venerando Cicho Simonetta; ma che nel rimanente fu un sovrano sincero, generoso, liberale, amico del merito, conoscitore dei talenti, promotore della coltura in ogni genere, tenero marito, padre affettuoso, principe capace di amicizia e di benevolenza, e tale insomma che probabilmente venne spinto dal predominio altrui a macchiarsi contro sua voglia. Come politico poi, o come militare, convien confessare ch’ei mancava intieramente di talento, e che non mostrò nemmeno di avere condotta alcuna. Fluttuante, incerto, pare che i soli casi momentanei determinassero le sue azioni, senza avere un costante principio; il che rese gli ultimi fatti suoi meschini agli occhi di ognuno. Così terminò lo splendore della casa Sforza, che durò cinquant’anni e non più; giacchè, come vedremo, assai breve e povera comparsa fecero dappoi i due figli di Lodovico, Massimiliano e Francesco, ch’ei lasciò ricoverati nella Germania presso dell’imperatore. Il cardinale Ascanio fu preso e condotto parimenti nella Francia. Gli stipendiati sforzeschi che rimanevano in Milano, si sbandarono. Sulla prigionia del duca Lodovico si coniò la medaglia in cui, al rovescio della testa del maresciallo Trivulzi, leggesi: Expugnata Alexandria, delecto exercitu, Ludovicum Sfortiam ducem expellit, reversum apud Novariam sternit, capit. Il maresciallo Trivulzio