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erano alquanto sbigottiti dai prosperi eventi dello Sforza; gli Sforzeschi per questi medesimi erano animosi. Francesco Sanseverino, uomo che avea un nome nella milizia, animava il duca a cogliere l’occasione e venire tosto a giornata, prima che un nuovo corpo di Svizzeri e il duca de la Tremouille rendessero formidabile il nemico; ma il duca, sempre incerto e mancante di energia, rispondeva esser meglio il vincere temporeggiando, che tentare l’incerta fortuna di una battaglia; la qual massima non poteva essere più fuori di luogo che in bocca d’un principe gli Stati di cui sieno occupati da un nemico potente, e che non avea per liberarsene altro mezzo che una momentanea armata, senza un erario con cui tenerla quanto occorresse allo stipendio; giacchè il cardinale Ascanio, per raccogliere danaro, era ridotto a far coniare moneta cogli argenti delle chiese di Chiaravalle, del Duomo, di Sant’Eustorgio, di San Francesco e di San Marco. Ma il duca Lodovico non aveva ereditati i talenti militari del duca Francesco suo padre. Egli era un principe colto bensì, ma non un eroe; principe di vaste idee anzi che di grandi e solide, snervato dall’avversa fortuna, privato della duchessa, abbandonato a consigli vacillanti. Avrebbe dovuto cimentarsi coll’armata francese; ma invece levò le tende e trasportò il suo campo sotto Novara, che era in poter de’ Francesi sotto il comando del conte di Musocco, figlio del maresciallo Trivulzio. Il duca promise il sacco di Novara; il che era in quei’ tempi un diritto militare, allorchè per assalto e senza capitolazione veniva presa una città. Alcuni cittadini novaresi segretamente intrapresero a concertare col Moro per introdurlo nella città. Novara era assai ben munita, nè facil cosa era l’impadronirsene.