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ringraziare l’Arbitro delle cose, di un avvenimento gloriosissimo per esso lui. Tre giorni dopo l’armata francese venne in Milano; e furono collocate le truppe a San Francesco, a Sant’Ambrogio, all’Incoronata. La licenza militare de’ giovani soldati francesi era somma in ogni genere; e il Trivulzio pensò di contenerla con fermo rigore nella disciplina. Il Corio ci racconta che per un pane violentemente rapito, due soldati guasconi vennero tosto appiccati a due piante fuori della porta Ticinese; che un altro Francese, per aver rubata una gallina, venne immediatamente appeso; che al Pontevetro sul momento venne appeso un Francese che aveva rubato un mantello; e che ivi pure, senza riguardo nè indugio, fu fatto appiccare un cavalier francese, monsieur di Valgis, che aveva poste le mani violentemente sopra di una zitella. Ciò serviva ad impedire quei disordini che avevan reso odioso il nome francese nel regno di Napoli quattr’anni prima; e serviva pure a conciliare la benevolenza de’ nazionali verso del comandante. Ma il posseder Milano, mentre una fortezza, quale era il castello, era presidiata validamente dagli Sforzeschi, era un pericolo anzi che un vantaggio. Una vigorosa uscita degli Sforzeschi poteva essere funesta ai Francesi sparsi ne’ conventi. Pensò dunque il Trivulzio di corrompere Bernardino da Corte castellano, giacchè la strada di un formale assedio doveva esser lunga, di evento dubbioso, di molto dispendio e diminuzione delle forze francesi. Il vilissimo Bernardino da Corte, senza nemmeno aspettare un apparente assedio cominciato, pattuì il prezzo del suo tradimento, e si divisero le ricchezze depositate nel castello fra il Trivulzio, il Corte e varii altri complici. Il Corio ci racconta che tal novella arrivasse all’orecchio dell’