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Il male era fatto. In quel punto egli andava co’ suoi figli a ricoverarsi presso dell’augusto Massimiliano; giacchè s’egli avesse preteso in quel punto di opporsi alla prepotente armata de’ Francesi invasori, avrebbe fatto versare il sangue umano senza probabilità veruna di preservare lo Stato dalla inevitabile occupazione. Ch’egli dall’imperatore si prometteva ogni soccorso, e pei stretti vincoli di sangue che lo univano a quel monarca, e per la giustizia della sua causa, che interessava l’Impero in favore di sè, come feudatario del medesimo. Che gli onori già concessigli dalla cesarea maestà erano una caparra del buon successo; sicchè sperava fra poco di rivedere la patria con una armata bastante a liberarla dall’usurpazione del re di Francia. Raccomandò ai sudditi di accomodarsi ai tempi, di non eccitare con intempestivo zelo la vendetta de’ Francesi, onde al suo ritorno potessero accoglierlo come loro padre, giacchè egli li considerava tutti come suoi figli". La presenza di spirito di parlare in pubblico, e di parlarvi in tanto angustiosa occasione, e sì acconciamente, fanno conoscere che l’amore di Lodovico per le lettere e le belle arti non era una principesca vanità, ma sentimento di un uomo colto e d’ingegno. Mentre ancora stava il duca parlando dalla loggia ai Comaschi, erano già penetrati i Francesi ne’ sobborghi di Como, con animo di farlo prigioniero; ma per buona sorte avvisato, appena ebbe tempo di balzare in una barca e recarsi a Bellagio.

Gian Giacomo Trivulzi, che da alcuni anni era esule dalla patria, entrò in Milano come generalissimo dell’armata francese il giorno 6 di settembre, quattro giorni dopo che il duca l’aveva abbandonata. Egli si portò solennemente al Duomo a