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di Francia potesse scegliere a questa impresa. Il duca non poteva fidarsi nè delle forze proprie, nè della volontà dei sudditi, per le ragioni già accennate. I soccorsi da Napoli o da Firenze erano incerti e rimoti. L’imperatore Massimiliano, nipote del duca, era di buona fede impegnato per lui; ma il pericolo sovrastava a giorni. Il duca scelse il partito di abbandonare lo Stato e seco condurre nel Tirolo i figli, ricorrendo a quell’augusto. I Veneziani s’avanzavano dalla parte d’Oriente; dall’opposta s’innoltravano i Francesi sotto del Trivulzio: non v’era tempo a consigli. In quel punto venne presentata al duca una lista di quindici primari signori del paese che tramavano contro di lui, e tenevano segreta corrispondenza col nemico.
I fatti erano avverati. Il duca non volle far male alcuno a coloro che avea beneficati ed amava. Prima di abbandonar Milano egli portossi dalla duchessa Isabella, le cedette il ducato di Bari, le chiese il di lei figlio Francesco per salvarlo e condurlo seco nella Germania; ma la duchessa nol consentì. Pensò Lodovico il Moro di confidare il castello di Milano ad un uomo di provata fede, giacchè dalla difesa di esso dipendeva la sovranità. Nel castello era riposto l’archivio ducale, vi erano tutte le preziose suppellettili della duchessa Beatrice e degli antecessori, valutate centocinquantamila ducati. V’era un presidio di duemila ottocento fanti, milleottocento pezzi d’artiglieria, e abbondantissime vittovaglie e munizioni di guerra. Lodovico divisò di affidarne il comando a Bernardino da Corte. Il cardinale Ascanio Sforza, fratello, e il Sanseverino l’avvertirono di non fidarsi di colui. (1499) Ma il duca non badò loro, e fattolo a sè chiamare, lo dichiarò castellano; indi, umanissimamente abbracciandolo, gli disse: io vi confido