Pagina:Storia di Milano II.djvu/105

belle arti ebbero vita e onore. Il cavaliere Gaspare Visconti in quella età scriveva rime degne di leggersi. Ecco quasi per saggio tre sonetti di lui fra i molti che ho esaminati. Il primo, singolarmente nei due quaderni, mi pare assai robusto e poetico.

Rotta è l’aspra catena e il fiero nodo

Che l’alma iniquamente già mi avvinse;

Rotto è il gruppo crudel che il cor mi strinse,

Onde mia sorte ne ringrazio e lodo.

Fuor del pensiero ho l’amoroso chiodo,

Che poco meno a morir mi sospinse;

E il volto che nel petto amor mi pinse,

Lì dentro è casso, e senza affanni or godo.

Ringrazio il cielo, il qual m’ha liberato

Dalla cieca prigion, piena d’orrore,

Dove gran tempo vissi disperato.

E quando a sè pur mi rivogli amore,

Me leghi a un cuor che sia fedele e grato,

Ch’io servirò per fino all’ultim’ore.

L’altro sonetto seguente parmi assai leggiadro, e ci fa vedere che l’allegria e la sociabilità erano conosciute da que’ nostri antenati. Anco un’altra osservazione sul costume ci si presenta; ed è che, usando allora le gentildonne abiti pesantissimi di broccato, non potevano altrimenti ballare e vivacemente, come ora si costuma; ma unicamente potevano moversi con graziosa lentezza, modice et venuste, siccome nel capitolo precedente vedemmo: perciò Gaspare Visconti, nel seguente sonetto, fra i