pure, ne’ quali Verona fu il suo ricovero, riacquistò quanto gli aveva occupato Rodolfo. Convien credere che l’imperatore avesse ragioni per risguardare i Pavesi complici dei mali che aveva sofferti, poichè, nel 924, assediò co’ suoi Ungari quella città, la prese e la distrusse. Frodoardo e Liutprando descrivono questo esterminio con espressioni forse esagerate. Pretendono che quarantatre chiese vi fossero atterrate e incenerite; che vi fossero rovinate tute le abitazioni; e che appena ducento abitatori abbiano potuto salvate la vita. Se questo fosse, non si potrebbe spiegate come poi nello stesso anno vi soggiornasse Rodolfo, il che si raccoglie da un suo diploma del diciotto agosto 974, di cui tratta il conte Giulini1. Sebbene poi anche a molto meno riducasi il danno della saccheggiata Pavia, egli è verosimile che un tale infortunio dovette essere favorevole alla crescente città di Milano. L’imperatore Berengario appena dopo la presa di Pavia ritornossene a Verona, città che gli era fedele, e che doveva esser ben munita di valida difesa. Ivi però una persona a lui cara, ed a cui aveva fatto l’onore di levare un figlio al sacro fonte, tramò insidie per assassinare quel buon principe. Costui chiamavasi Fiamberto; venne scoperto il traditore, e l’augusto Berengario, fattolo venire a sè, con umanità senza pari gli parlò della vergogna che va in seguito al tradimento; dei rimorsi che produce l’ingratitudine; della felicità che accompagna la virtù, a cui la via rimane aperta anche dopo di avere infelicemente trascorso. Gli perdonò come già aveva fatto al conte Gilberto; l’assicurò che dimenticava il passato, e l’avrebbe beneficato in
- ↑ Tomo II, pag.163.