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capo terzo 63

della più insensata dabbenaggine colla più fredda crudeltà. Quello che rende ancora più strano il fatto si è che Lamberto venne ucciso nell’898, un solo anno appena dopo l’eccidio del conte Maginfredo; il che fa vedere che quel principe nemmeno aveva in favor suo il corso degli anni, per di cui mezzo, una lunga serie di beneficii avesse potuto rallentare nell’animo di Ugone il mordace sentimento della desolata sua famiglia.

Ucciso così l’imperatore Lamberto, il re Berengario rimase solo sovrano d’Italia in Pavia, poichè Arnolfo quasi nel tempo istesso aveva cessato di vivere, assediando Fermo. Liberato dai due rivali, ogni apparenza indicava l’augurio di un placido regno a Berengario. Ma un regno placido e uniforme d’un monarca che da Pavia signoreggiava Milano, non era quello che dovesse piacere al nostro arcivescovo Andrea. Chiunque posseda una dignità ragguardevole acompagnata da molta ricchezza, e sia avvezzo a influire nelle vicende di un regno, difficilmente antepone la tranquilla obbedienza alla tumultuosa inquietudine di spargere sopra un grande numero di uomini la speranza e il timore; nè l’arcivescovo era giunto a tal grado di filosofia. Si cercò un rivale che potesse disputare a Berengario il regno, e s’invitò Lodovico, re di Provenza, a ricevere la corona d’Italia. Scese Lodovico dalle Alpi, e sorprese Berengario, che potè appena aver tempo di rifuggiarsi in Verona: e Lodovico, collocatosi in Pavia, venne l’anno 900 proclamato re da una dieta d’Italiani, e in un suo diploma egli stesso ce lo insegna: Venientibus nobis Papiam in sacro palatio, ibique electione et omnipotentis Dei dispensatione in nobis ab omnibus episcopis, marchionibus, comitibus, cunctisque item majoris, infe-