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entrambi degli occhi1. All’atrocità unì Lamberto la più supina spensieratezza. Mosso da una simpatia veramente difficile a comprendersi, egli si lusingò di acquistare un amico e di guadagnarselo nella persona di Ugone, figlio pure del decapitato conte Maginfredo. Credette che il non averlo privato degli occhi potesse essere considerato come dono; e che i regali e l’affabilità che seco usava, potessero fargli dimenticare che egli era l’assassino della sua famiglia. Seco lo teneva famigliarmente alla sua corte in Pavia, e seco lo condusse al luogo di delizia Marengo, dove un giorno, sbandatosi l’imperatore Lamberto alla caccia, e alcuno non avendo seco, fuori che il giovine Ugone, alla mente di questi si affacciò in quel momento il teschio del buon padre grondante di vivo sangue, il fratello, il cognato ridotti allo stato deplorabile della cecità, la patria soggiogata, la sicura occasione, la facilità di vendicare sopra di un mostro così atroci delitti, e l’Imperatore si ritrovò morto disteso al suolo2; ed Ugone stesso raccontò dappoi al re Berengario di aver gettato da cavallo Lamberto con un valente colpo di bastone sul capo, e colla percossa avergli tolta la vita3. Non ci lagneremmo cotanto de’ tempi presenti, se meglio ci fossero noti i costumi de’ secoli passati. Non vi è certamente nella storia del nostro secolo un tratto di crudeltà così vile. La virtù si onora anche dalle armate nemiche; nella resa d’una piazza nessun comandante è maltrattato perchè siasi ben difeso; e nessun sovrano sceglie per favorito il figlio o il fratello di coloro che ha egli stesso consegnati al carnefice, il che è un misto

  1. Il conte Giulini, tomo II, pag. 61.
  2. Liutprand. lib. I, cap. 22
  3. Rer. Italic. tomo II, Chron. Novaliciense.