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46 | storia di milano |
Quando ho detto che la distruzione di Uraja sotto Vitige del 538 fu uno annientamento di Milano, dal quale per cinque interi secoli non potè risorgere, non intendo perciò di asserire che non vi rimanessero più abitatori nel luogo della città, e che il suolo ne restasse deserto; dico annientata la città cospicua, e rimasto al luogo di essa un ammasso di rovine, con alcune chiese e alcune case abitate da un piccolo numero di poveri uomini mal sicuri; perchè le mura della città atterrate lasciavano libero ingresso ad ogni invasore. Alcuni rari abitatori erano, dopo quest’eccidio, sparsi sulla campagna: poco in vigore era la coltura delle terre per mancanza di uomini; in somma non restava di grande che la memoria e la dignità del metropolitano, la quale non rovinò colla città, come per più secoli si sostenne il decoro del patriarca d’Aquileia.
Il conte Giulini ci assicura in più luoghi che prima del 1000 la maggior parte de’ nobili abitava nelle terre1, e l’asserzione di un autore tanto esatto, fedele e ingenuo, è maggiore di ogni eccezione; egli non l’ha fatta se non dopo di avere esaminata con attenzione e giudizio una sterminata mole di carte antiche. Il peso della autorità di questo erudito autore cresce, se si rifletta ch’egli ha procurato, quanto mai era possibile, di dar risalto alla storia nostra, e far comparire Milano sempre considerata; il che ha eseguito quanto gli è stato fattibile, salva la verità. Nelle diete, che pure era costretto a dire ch’eransi tenute in Pavia, egli aggiunge: naturalmente vi avrà preseduto il nostro arcivescovo. M’immagino che la incoronazione l’avrà fatta l’arcivescovo di Mila-