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stato d’animo costante, il duca Filippo Maria sarebbe rimasto con Zanino Riccio; anzi sarebbe stato abbandonato ben presto da quell’istesso infingardo, che non amava se non la fortuna del duca. Già Filippo Maria aveva dovuto cedere al duca di Savoia Vercelli, per contentarlo e non soffrire invasione anche da quella parte. Il marchese di Monferrato, i Fiorentini, i Veneziani ben presto gli toglievano il restante de’ suoi Stati. Il Carmagnola, dopo la presa insigne dell’armata ducale, non aveva più contrasto: e Cremona, Crema, Lodi rimanevano, se lo voleva, in potere de’ Veneziani. Ma quando vide il conte posto il duca a mal partito, cessò di far la guerra con vigore; anzi non servì più con buona fede i Veneziani. O foss’egli allontanato, per una ripugnanza dell’animo, dal portare così la distruzione ad un principe dal quale aveva un tempo ottenuto gli onori e sotto del quale aveva acquistata la celebrità; ovvero fosse egli ancora nella fiducia che, umiliato il duca, venisse a fargli proposizioni di accomodamento, e gli sacrificasse i meschini nemici che avevano ardito di nuocergli, cioè i vilissimi cortigiani suoi; o qualunque ne fosse il motivo, il conte Francesco Carmagnola, malgrado il dissenso de’ procuratori veneti, e malgrado la decisa loro opposizione, volle rimandare, disarmati bensì, ma liberi al duca tutti i generali ed i soldati numerosissimi che aveva fatti prigionieri nella vittoria del giorno 11 ottobre 1427. Il duca in pochi giorni armò di nuovo e rimontò questi militi, ed è molto degno di osservazione questo fatto, cioè che due soli artefici di Milano in pochi giorni gli diedero le armature per quattromila cavalli e duemila fanti, sapendosi che in que’ tempi gli uomini si coprivano tutti di ferro; il