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già affezionatissimo nel suo cuore al Visconti, siccome accade sempre di esserlo, quando si sono fatti insigni benefici, pe’ quali amiamo il beneficato come cosa nostra. Il conte, pagato con tanta ingratitudine, insidiato in così bassa ed atroce maniera, conobbe non rimanergli più altro partito che l’operare da nemico. Egli adunque consigliò ai Veneziani di legarsi co’ Fiorentini. Temevano i primi di perdere Verona e Vicenza, occupate recentemente sotto l’infame governo dell’ultimo duca. I Fiorentini vedevano già nuovamente inoltrata nella Romagna quella sovranità de’ Visconti, che ventiquattro anni prima aveva esposto all’estremo pericolo la loro repubblica; quindi si unirono co’ Veneziani. (1426) Il re Alfonso di Napoli si unì alle due repubbliche; ed il conte Francesco Carmagnola, l’anno 1426, ricevette solennemente dalle mani del doge di Venezia lo stendardo di San Marco, e venne dalla repubblica dichiarato capitano generale dell’armata terrestre, coll’assegnamento, cospicuo per que’ tempi, di dodicimila annui fiorini, ossia ducati d’oro. Ciò fatto, il Carmagnola si portò sul Bresciano. Egli conosceva quel paese, poichè sei anni prima vi aveva guerreggiato per riacquistarlo al duca e scacciarne i Malatesti. Era celebre la battaglia ch’ei vinse l’anno 1420, il giorno 8 di ottobre; ora si trattava di acquistar Brescia ai Veneziani. Il conte ne scacciò l’armi del duca. Il comandante che Filippo Maria aveva posto alla testa delle sue armi invece del Carmagnola, era Guido Torello; uomo che non pareggiava i talenti del Carmagnola. Sotto del Torello combattevano Niccolò Piccinino e Francesco Sforza, uomini di merito; ma il primo di questi due si sdegnava d’essere sotto il comando d’un generale ch’egli non credeva