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se, tenendosi inaccessibile, invisibile e sempre attorniato da uomini da nulla, fra i quali il primo era certo Zanino Riccio, non avesse tagliato a se medesimo la mano destra col diffidare del conte Carmagnola, dopo le non interrotte prove del di lui animo. La superiorità dei talenti del conte, e la grandezza colla quale suggeriva i buoni consigli al suo principe, facevano tremar di paura gli abbietti uomini che attorniavano il duca. S’avvedevano ben essi che quel generale non avrebbe mai fatto lega nè cogli astrologi, nè coi parassiti che deludevano il sovrano. Formarono quindi il progetto di alienar l’animo del duca dal conte Carmagnola, e mentre il conte gli sottometteva le città, facevano malignamente risuonare all’orecchio di Filippo Maria l’amore dei soldati, la riverenza de’ popoli sempre crescente verso del Carmagnola. Quindi ogni dì più rendevano timido il duca appiattato, invisibile ad ognuno, fuori che ad essi; a tal segno ch’ei non usciva dal castello di Milano, se non dalla parte solitaria dei campi; per di là passando al castello di Abbiategrasso, ove parimenti stavasene solitario ed occultato. Basta il dire ch’egli non venne mai in Milano, se non quella prima volta che ho detto. Bloccato in tal maniera il duca, nulla ei più sapeva degli affari, di quanto volevano dirgliene quei vili intriganti cortigiani. Costoro a poco a poco fecero nascere il pensiero nel duca di collocare il conte stabilmente al governo di Genova, finchè gli tolse il comando dell’armata. Il conte da Genova andava scrivendo al duca, illuminandolo sul proposito degl’interessi del suo Stato, e lagnandosi de’ torti. Ma le lettere nemmeno giugnevano al duca. Se ne avvide il conte, e lasciando Genova si portò alle porte del castello d’Abbiategrasso, chiedendo umilmente di essere