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imprigionata in Binasco l’infelice Beatrice Tenda; e il non meno disgraziato cavaliere fu parimenti posto nei ferri. Si fecero soffrire ventiquattro strappate di corda alla duchessa, come ci narra il Corio. Furono condannati e l’una e l’altro a perdere la testa sotto la scure; il che si eseguì in Binasco nell’infausta notte susseguente al giorno 13 di settembre dell’anno 1418. Il Corio ci attesta che, per liberarsi dagli strazi della tortura, la duchessa incolpasse se medesima; ma poi, in presenza degli ecclesiastici che l’accompagnarono al patibolo, prima di sottoporvi il capo, chiamasse Iddio in testimonio dell’incolpabile sua innocenza. Ci dice il Biglia che il giovine Orombello, lusingato di potere sfuggire il supplicio calunniando la duchessa, preferisse la vita alla virtù, sebbene in fine perdesse e l’una e l’altra; e che la duchessa, avanti il patibolo, da donna forte e virtuosa, rimproverasse la vile colpa all’Orombello, e protestando la innocenza propria, chiamandone testimonio Iddio, piegasse il capo alla mannaia. Fosse il peso d’un troppo grande beneficio insopportabile all’anima del duca; fosse ambizione, per cui si sdegnasse d’aver per moglie una che non era di famiglia sovrana; fosse noia d’avere una compagna d’un’età matura; fosse l’amore ch’egli già nutriva per Agnese del Maino, colla quale visse poi sempre, ed a cui null’altro mancò se non il nome di moglie; fosse una trama di qualche abbietto favorito, a cui non tornava bene che il duca ascoltasse fedeli consigli; fosse perfine ciò prodotto da qualche astrologica predizione che promettesse al duca felicità da un tal colpo; qualunque ne fosse il motivo, tale