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gli sborsasse sedicimila fiorini al mese, ossia centonovantaduemila fiorini all’anno. Il primo duca aveva da tutto il suo Stato un milione e duecentomila fiorini all’anno; ma ora non rimaneva a questo secondo duca se non Milano, e non era tenue quella somma per que’ tempi. Nè questo fu pure il limite a cui si tenne il duca. Volle che la città diventasse, in certo modo, anche amministratrice dei centonovantaduemila fiorini; e stabilì che per la sua persona se gli sborsassero ogni mese duemilacinquecento fiorini, per mantenimento della sua corte, cavalli, tavola e vestito: del rimanente la città doveva pagare ottomila fiorini di stipendio per ogni mese a cinquecento lance, tremila fiorini al mese per lo stipendio di mille fanti, mille altri fiorini al mese per la guardia del corpo, e millecinquecento fiorini al mese per soldo ai consiglieri ed ai giudici. Questo contratto (che dava una esistenza morale al corpo politico, creandolo legittimo percettore del tributo, e un essere vivente interposto fra il sovrano ed il suo popolo, avendo un debito fisso col primo, ed un dritto e una giurisdizione sul secondo) poteva essere una nobilissima beneficenza verso della patria in tutt’altro principe; ma era una stolida imbecillità in quel Giovanni Maria, incapace di governare. Tutto era in combustione e in disordine: Vulgus quidem, dice il Biglia, annonae copia delinitum; caeteri, quicumque bonorum civium loco essent, intolerandis tributis gravabantur... Multi vel publica vel privata licentia interfecti. I mali pubblici, l’odio contro l’infame duca, il profondo disprezzo che si era egli meritato, giunsero finalmente