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il quale nella sua gioventù avrà inteso questi atrocissimi fatti da’ vecchi che n’erano stati dolenti spettatori. Il Biglia poi scriveva le cose de’ suoi tempi, e poteva essere testimonio di veduta. Ho voluto narrar questi orrori colle parole altrui, per risparmiare a me stesso la pena di descrivere cose tanto crudeli, e per togliere ogni sospetto sulla verità dei fatti.
La condotta del duca Giovanni Maria era quella d’un vero pazzo furioso; poichè nel mentre ch’egli insultava l’umanità, la giustizia, la natura istessa coi mastini, compagnia degna di un tal principe, egli sopportava che Facino Cane a suo pieno arbitrio non solamente dominasse Alessandria, Tortona, Novara ed altre terre, ma disponesse da sovrano, e in Milano ed in Pavia, ogni cosa a suo piacimento, per modo che il Biglia ci lasciò scritto: nec multo post Facinus Mediolanum advocatur, ut nihil jam illi ad utriusque dominium praeter nomen deesset, omnia uni parebant, omnia pro illius imperio statuebant, ne tanto quidem ad impensas juvenum relicto quod vitae satisfacerent. Appena i due giovani principi avevano di che mangiare. Il duca aveva fatta colla città di Milano una convenzione, la quale si trova nell’archivio della città, e venne pubblicata dal conte Giulini. In vigore di tal carta egli si sottopose in molta parte a que’ limiti che presentemente fissa la costituzione della Gran Brettagna al sovrano, almeno per riguardo al tributo. Le regalie tutte le cedette alla città, alla quale diede in proprietà ogni sorta di carico non solo, ma persino gli stessi beni suoi allodiali; e ciò a condizione che la città