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esteri, quello che vi consumava il duca per la sua corte e per le sue pompe, quello che si raccoglieva per fabbricare il Duomo dalla divozione de’ cittadini delle altre città; e per conseguenza aveva mezzi grandi per i tributi. Certamente che il duca pose in opera tutti i ripieghi per radunare il denaro, e fra questi ricorse ad uno di que’ metafisici ritrovati che, colla idea di tener celato il tributo, opprimono i popoli, più ancora di quello che non faccia un tributo sinceramente richiesto. L’Argellati ci ha pubblicata la legge monetaria, colla quale comandò quel principe che tutte le monete si dovessero spendere a maggior numero di lire; così che, da quel giorno in avanti, la moneta che correva per tre soldi, dovesse essere spesa ed accettata per quattro soldi; salvo però il pagamento de’ tributi, che eccettuò e volle che venissero pagati a ragguaglio dell’antica moneta1. Con questa operazione quel sovrano defraudava i suoi creditori e stipendiati d’una quarta parte di quanto loro competeva. Ma tanti furono gli inconvenienti di questa indiretta operazione, che poco dopo la dovette rivocare, e restituire le monete al primiero loro corso; di che ne ha trovati i documenti il conte Giulini nell’archivio della città2. La superiorità che aveva il Visconti sopra degli altri principi confinanti si conosce dalle frasi che adoperava nelle lettere ch’egli scriveva; e ciò anche da principio, avanti che avesse tanto dilatato il suo dominio ed acquistata la dignità ducale. Il Corio3 ci trascrive le lettere che Gian Galeazzo scriveva ad Antonio della Scala, sovrano di Verona e di Vicenza, e le risposte che

  1. De Monet. Ital. tom. III, pag. 59.
  2. Giulini, tomo XI, pag. 521.
  3. All’anno 1387.