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che nella leggenda delle sue monete per questo si potrebbe credere un Inglese. Anche il titolo distinto di conte di Pavia, lo aggiunsero i successori, per essere quella sua contea separatamente infeudata; e per lo più il principe ereditario chiamavasi conte di Pavia. Vi bisognava nulla meno che un’ignoranza totale della storia, per ispacciare seriamente la impostura dei conti d’Angera. Eppure il duca fu contentissimo di quella adulazione; e la cronaca venne accolta con riverenza e con fede. La stessa ambizione della immortalità portò il duca a fabbricare la chiesa e la magnifica Certosa presso Pavia, dotandola signorilmente, in guisa che era uno de’ più grandiosi e ricchi monasteri che avesse quest’ordine. Finalmente allo scopo medesimo mirò colla fabbrica del Duomo di Milano, immaginato ed innalzato da lui. Allora non v’era in Roma la superba chiesa di San Pietro, nè in Londra quella di San Paolo; e il tempio, che disegnò Gian Galeazzo, ed innalzò in Milano, per que’ tempi era il più grande, il più ardito e il più magnifico del mondo, senza eccettuare Santa Sofia di Costantinopoli. Se la fabbrica siasi cominciata nell’anno 1386, ovvero nel 1387, è un soggetto di controversia nel quale non entrerò. Nemmeno entrerò io a trattare del gusto di questa immensa mole, tutta caricata di minutissimi lavori di marmo, con tanta prodigalità e capriccio, che costano secoli e tesori gli ornati, le balaustrate, le guglie, i terrazzi che la coprono, e non sono visibili se non agli uccelli, o a que’ pochi che hanno la curiosità di salire centottanta braccia, quant’è l’altezza dell’ultima guglia, per rimirarle. Il duca volle fare questo tempio abbandonando la simmetria degli ordini eleganti di architettura, e seguendo il gusto di