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anche oggidì si conserva in alcune ciambelle di monache: gli speziali lo fanno altresì per diminuire la nausea alle cattive cose che presentano da inghiottire; e nella nostra plebe rimane ancora il proverbio di mangiare il pan d’oro per significare una vita signorile e deliziosa. In mezzo a questa stomachevole abbondanza, degna di quel tempo, in cui si ammirava l’accennata eloquenza del vescovo di Novara, confesseremo che nella eleganza di servire con acque odorose per lavarsi, erano quegli uomini più colti e raffinati, che ora non lo siamo noi.
L’ambizione di Giovanni Galeazzo non era sazia giammai, e voleva per ogni modo quel principe lasciare ai secoli venturi la fama di se medesimo. Felici i suoi popoli s’egli avesse temuto la cattiva fama! Egli ordinò una compilazione degli statuti di Milano, la quale si pubblicò il giorno 13 di gennaio dell’anno 1396, ed è la medesima che venne stampata poi l’anno 1480, in Milano, da Paolo Suardi, con assai bella edizione. Egli fece immaginare la genealogia del suo casato; e questa fu compilata nella maniera più grossolanamente fastosa che dire si potesse. Si creò allora la cronaca de’ conti di Angera, celebre presso di molti fra i nostri autori. Si riascese nulla meno che al troiano Enea, il nipote di cui, per nome Anglo, si fece fondatore d’Angleria, nome latino d’una ròcca del distretto del lago Maggiore chiamata Angera. Da Anglo se ne fanno discendere molti re, molti eroi e finalmente Matteo Visconti. Appoggiati a questa genealogia i successori di Gian Galeazzo ambirono poi di aggiungere al titolo di duca di Milano quello ancora di conte d’Angera, e talvolta semplicemente Anglus; come fra gli altri ambì di fare Lodovico Sforza,