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gli esempi; cioè che, posti due colleghi di egual condizione al governo, colui che avrà le passioni più spiegate, dovrà soccombere a colui che saprà coprire colla timidezza l’ambizione; siccome ancora accadde dell’impero del mondo fra Ottavio ed Antonio.
All’ambizione artificiosa del conte di Virtù erano poche ventuna città suddite. Egli pensava a nulla meno che al regno d’Italia; e i primi sguardi ch’egli gettò, furono dalla parte del Veronese e del Padovano, per estendere sino all’Adriatico il suo Stato. Egli, siccome dissi, possedeva già Crema, Bergamo e Brescia. Antonio della Scala era signore di Verona e di Vicenza. Francesco da Carrara era signore di Padova. Da gran tempo questi due piccoli sovrani avevano delle discordie, e si facevano delle reciproche ostilità. Il conte di Virtù, simulando zelo per la concordia e per il bene di que’ due principi, entrò mediatore per accomodare le loro controversie; e mentre l’una parte e l’altra stavano facendo le loro proposizioni, il conte lusingò il Carrarese, signore di Padova, proponendogli un’alleanza invece del progettato accordo. L’alleanza aveva per fine la distruzione delle Scaligero. Il piano era che il Carrara lo dovesse attaccare dalla parte di Vicenza, mentre il conte di Virtù farebbe lo stesso dalla parte di Brescia. L’esito non poteva essere dubbio, poichè Antonio della Scala, posto così di mezzo, non poteva avere scampo. Il frutto era grande; mentre s’offeriva a Francesco Carrara di lasciargli Vicenza, e il conte restava pago di prendere per sè Verona. Non poteva essere l’orecchio del Carrarese adescato da una proposizione più seducente di questa, e incautamente la accettò. La passione antica che aveva contro lo Scaligero, lo acciecò a segno