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un uomo virtuoso; ma se pur vi era, quello certamente non sarà stato trascelto per formare il processo. Barnabò era uomo feroce, violento, coraggioso, franco, ma non dissimulato, nè capace di tradire o di insidiare. Egli era nemico di ogni arte e di ogni scienza, crudele, sanguinario, d’una religione inconseguente, poichè, insultando il papa, oltreggiando i vescovi, calpestando gli ecclesiastici, donava ai conventi generosamente i beni che rapacemente confiscava ai cittadini. Ma il conte era suo nipote; il conte era suo genero; giaceva le notti colla sua moglie Catterina Visconti, nel tempo in cui ordiva di togliere la sovranità alla di lei famiglia, mentre teneva prigione suo padre, lasciava errare raminghi e bisognosi i di lei fratelli, che pure avevano tanta ragione per succedere nella signoria di Barnabò, quanta ne aveva il conte per essere succeduto nella signoria a Galeazzo. Di tanti figli che aveva Barnabò, malgrado le potenti e illustri loro aderenze, non ve ne fu più alcuno che potesse comparir nemmeno a disputare la usurpata porzione del padre, trattone Estore, che eragli figlio illegittimo, il quale potè fare ventisette anni dopo un momentaneo contrasto al duca Filippo Maria, come vedremo. La potenza acquistata in un istante dal conte di Virtù fiaccò l’animo de’ suoi sudditi; l’ardimento della sua ambizione, spiegata come un improvviso lampo, unita alla profondissima simulazione, rese attoniti gli altri principi; giacchè gli oggetti più ne soprafanno, quanto più grandeggiano annebbiati. I popoli, oppressi dal duro e violento giogo sofferto, accolsero con allegrezza il cambiamento. La virtù e la giustizia non ebbero parte alcuna in questa rivoluzione, in cui si vide accadere un avvenimento di cui sono frequenti