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di Porta Ticinese. Questi accolse co’ maggiori segni di cordialità i suoi due cugini e cognati, Rodolfo e Lodovico, i quali, dopo le accoglienze, con apparenza di onore, furono circondati dalle armi di cui erano comandanti Jacopo dal Verme, Ottone da Mandello e il marchese Giovanni Malaspina. S’incamminò il conte verso Milano, e, giunto che fu avanti della porta Ticinese (che allora era ove oggidì sta il ponte del Naviglio) prese la sinistra, e per la via che ora fiancheggia il canale, andò colla sua comitiva cavalcando, sin che alle ore sedici, ossia verso mezzo giorno, trovatisi vicini al ponte che da Sant’Ambrogio conduce a San Vittore, per esso videro scendere Barnabò a cavallo con uno o due domestici di seguito. Il conte, dopo i primi saluti, diede il segnale concertato; e Jacopo dal Verme il primo spronò il cavallo, e pose le mani addosso della persona del signor Barnabò, dicendogli: siete prigioniere. Ben tosto Ottone da Mandello gli levò dalle mani la briglia; altri gli tagliò il cingolo; così al momento Barnabò fu disarmato, togliendogli altri spada, altri la bacchetta dalle mani. Contemporaneamente lo stesso venne fatto ai due suoi figli Rodolfo e Lodovico; e presto presto, in mezzo alle armi, vennero tradotti nel castello di Porta Giovia, poco di là lontano. Barnabò venne cautamente trasportato poi al castello di Trezzo, ove anco oggidì vedasi la stanza, in cui sopravisse sette mesi colla sua o moglie o amica Donnina de’ Porri, sin che morì avvelenato, a quanto si dice. Tanto seppe simulare il conte! Egli aveva trentadue anni.

Appena il colpo era fatto, il conte, alla testa degli armati, entrò nella città, e senza veruna opposizione se ne impadronì, fra gli evviva della plebe,