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Virtù stavasene in Pavia: era una volpe che addocchiava destramente il vecchio leone. Mostrava il giovine conte di Virtù d’essere timido, irresoluto, debole in ogni sua azione. Bramava d’imprimere nell’animo di Barnabò tale opinione, che, considerandolo egli giovane da nulla ed incapace d’intraprendere un colpo ardito, nemmeno pensasse a tenersi difeso; e tanto seppe dissimulare in ogni azione, anche domestica, tanto attento fu nel rapportare il meschino personaggio propostosi, che ingannò supinamente lo zio, quantunque avesse giorno e notte al suo fianco Catterina Visconti, figlia di Barnabò, da Galeazzo sposata, sebben cugina, dopo la morte di Isabella di Francia, sua prima moglie. Barnabò derideva l’imbecillità del nipote, il quale ne’ suoi editti ancora spirava umanità, beneficenza e moderazione, mentre l’altro continuava a spaventare i sudditi con inesorabile ferocia. Poteva comparire agli occhi dello zio un nuovo tratto di pusillanimità la cura che ebbe il conte di Virtù di procurarsi la grazia del nuovo augusto Venceslao, succeduto al defunto Carlo IV di lui padre. Ma in fatti egli solo venne da quel monarca confermato vicario imperiale l’anno 1380, senza che nel diploma venisse fatta menzione di Barnabò. Così nel silenzio andava il conte di Virtù preparando la mina che doveva scoppiare un giorno e, rovinando il collega, riunire sovranità dello Stato sopra di lui solo. Barnabò, dal canto suo, senza accorgersi, somministrava sempre nuove armi al nipote contro di lui; poichè disponeva una nuova divisione dello Stato suo ne’ cinque suoi figli legittimi, e già a ciascuno di essi aveva assegnato il governo nel distretto che gli aveva destinato in sovranità dopo di lui. Marco aveva la metà di Milano;