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fece un testamento il giorno 18 marzo, l’anno 1203, che si conserva nell’archivio di quella basilica, e di cui parla il conte Giulini, e lascia manstrucam unam conilii, cohopertam de violato, et alias duas... scilicet unam volpinam, cohopertam de scalfanio, et aliam de flanchitis, cohopertam de sagia bruna, et... capellum meum grisum, cohopertum de sagia nigra, et cohopertorium meum, et scradam seu diproidam meam... cappam meam blavetam... cappam meam de mantellato... quinque coclearia argenti, et mantellum meum foderatum de zendado... vestitum violatum meum. Da ciò osserviamo che di tutte le vesti, nulla v’era di nero fuori del cappello, voce che digià si era inventata per dinotate quelle berrette che allora si ponevano sul capo; ma tutti i vestiti di quell’ecclesiastico erano di colore violato, ceruleo o bruno. La parola blavetam sembra nata dal teutonico blau ossia bleu, come noi Lombardi anche oggidì nominiamo quel colore, similmente ai Francesi. I cucchiai d’argento si vede che già erano in uso. Nè gli ecclesiastici si vestivano tampoco con colori modesti, poichè, l’anno 1211, l’arcivescovo Gherardo da Sessa fece un editto in cui leggesi: Universis praeterea clericis interdicimus vestes rubeas, vel diversi coloris gialdas et virides; la quale proibizione non bastò a togliere tale usanza degli ecclesiastici, poichè in un concilio provinciale tenutosi un secolo dopo di ciò, nuovamente si dovette stabilire che gli ecclesiastici non portassero vestes virgulatas, seu de catabriato dimidiatas, vel listatas, vel frixis, vel maspilis argenteis, vel de metallo aliquo, e non dovessero