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abbondanza che ne hanno prodotte le nuove miniere e il commercio, siccome torno a ricordare. Non abbiamo notizie bastanti di quei tempi per indicare i positivi prezzi ai quali siasi venduto il sale alle gabelle. Sappiamo però dai registri civici esaminati dall’instancabile conte Giulini, che verso la fine del secolo decimoquarto si vendeva a soldi cinquanta lo staio; prezzo veramente gravoso, poichè il fiorino d’oro correva a soldi trentadue. Il carico poi della macina alle porte di Milano erasi imposto sino dell’anno 1333, come ce ne fa fede una carta dell’archivio dello spedal maggiore, esaminata dal conte Giulini. La gabella della Dovana eravi pure già verso la fine del medesimo secolo decimoquarto; poichè v’è il decreto che dice: cum etiam per datiarios Dovanae bestiarum grossarum et minutarum dicti vestri comitatus fiant diversimodae extorsiones: così faceva scrivere latino il signor di Milano l’anno 1381, dopo il lungo soggiorno fatto in questa città da Francesco Petrarca! Si vede che sino da quel tempo s’era introdotta l’usanza d’affittare le regalie, o, per dir meglio, la pace, la sicurezza e la libertà del popolo ad un impresario: volumus bene quod incantatoribus datiorum dicti nostri Comunis serventur eorum data. Era riserbato al glorioso regno dell’augusta Maria Teresa di atterrare quest’obice, che divise i contributori dal principe per quattro secoli. Il carico Datium imbottaturae vini, cioè l’imbottato eravi già anticamente, ma si pagava soltanto sul vino raccolto; indi l’anno 1392 vennero assoggettati a questo tributo anche i grani. Chi ne cercasse più esatte prove,