Pagina:Storia di Milano I.djvu/445

e i fuorusciti Milanesi del partito de’ Torriani, promise il re ch’egli non avrebbe guadagnato nella vendita del sale se non venti soldi papali per ogni moggio, e ciò per il sale comune; il bianco però e raffinato era libero a lui il venderlo come più gli fosse piaciuto. Questo trattato si fece l’anno 1312. Venti soldi papali del secolo decimoquarto valevano, secondo il calcolo del Muratori, ventiquattro paoli. Il moggio è di staia settanta; e, ciò posto, la gabella si riduceva a cinque soldi de’ nostri per ogni staio di sale; così che a un di presso allora prometteva di venderlo al valore che oggidì corrisponderebbe a soldi quaranta per ogni staio. Per un trattato di commercio che si fece fra i Milanesi ed i Veneziani l’anno 1317, segnato il giorno 30 d’agosto in Venezia, i Veneziani si obbligarono a dare a quegli il sal marino, e i Milanesi si obbligarono a prenderlo tutto da essi, ed a non spanderlo nè sul Comasco nè sul Veneto. A noi rimase però la libertà di venderlo poi agli abitanti delle Alpi. Questo pregievole monumento ritrovasi in un antico codice MS. presso del signor marchese Giovanni Corrado Olivera, signore venerabile per l’integrità e beneficenza, più ancora che per i luminosi titoli e la presidenza del senato. Sono già più di quattro secoli e mezzo da che prendiamo i sali da Venezia, e li vendiamo agli Svizzeri e Grigioni. Al tempo di Luchino, la gabella del sale della città di Milano e del contado gli fruttava tremila fiorini d’oro; presentemente se ne ricava cinquanta volte altrettanto. È vero che l’oro allora aveva notabilmente più valore che ora non ha, dopo l’