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il bisogno di questi tanto utili e generosi animali. Se poi tanto grano si raccogliesse quanto occorreva al nutrimento del popolo, non è così facile il deciderlo; poichè in una concordia che si fece fra i nobili e i popolari, l’anno 1225, venne pattuito, fra gli altri articoli, che il comune di Milano dovesse ogni anno far venire da paese estero de’ grani, pel valore di seimila lire di terzoli. Il che non saprei se debbasi considerare come una forzata compiacenza de’ nobili terrieri verso di un error popolare, come inclina a crederlo il nostro conte Giulini; ovvero come una prudente precauzione, in tempi ne’ quali questo commercio era vincolato. Parmi che se le terre fossero state bastantemente feraci di grano, si sarebbe dalla plebe domandata, non l’introduzione del grano estero, ma del più vicino e nazionale, per assicurare l’alimento alla città. Generalmente si mangiava in Milano pane di mistura; e l’anno 1355 vi era in tutta la città un forno solo che fabbricasse il pane bianco di puro frumento; pane che allora era di lusso; e questo forno privilegiato chiamavasi il prestino dei Rosti, ed era vicino alla piazza dei Mercanti. È bensì vero che l’uso di servire con pane di frumento puro e bianco, nei pranzi d’invito, era anche un secolo prima conosciuto presso di noi; e ne fa prova una sentenza favorevole ai canonici di Varese, pronunziata l’anno 1248, in cui venne condannato un beneficiato a dar loro la domenica avanti Natale un pranzo composto, videlicet, panis frumentini boni et bene cocti et albi, et vini boni, et puri ad sufficientiam et capponorum, videlicet unum inter duos plenum, et carnium bovis et porci cum bonis piperatis, videlicet frustum unum, sive petiam