Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
Se Azzone aveva invitato, siccome ho detto, i migliori artisti, e gli aveva condotti a Milano, Giovanni vi accolse e vi onorò sommamente il più dotto ed elegante letterato di quel secolo, Francesco Petrarca. Egli venne a Milano l’anno 1353, per vedere la città; e l’arcivescovo Giovanni, sensibile al merito, lo onorò tanto, che lo indusse a fissarvi la sua dimora. Il buon principe era magnifico e sociale. La corte era aperta agli uomini di merito, nazionali o forestieri. Egli amava la società della mensa; e tanto crebbe presso di lui la stima del Petrarca, che lo fece sedere nel suo consiglio, e lo spedì a Venezia suo ambasciatore all’occasione detta pocanzi. Petrarca, nelle sue lettere si esprime che egli amava in Milano gli abitanti, le case, l’aria, i sassi, non che i conoscenti e gli amici. L’unica figlia sua la maritò in Milano a Francesco Borsano; e la tenerezza che egli aveva per quella e per il figlio adottivo Borsano, ch’egli poi istituì suo erede, gli rendevano caro questo soggiorno come una nuova sua patria. Scrivendo Petrarca della prepotente influenza del clima, oggetto sviluppato nel nostro secolo dall’immortale Carlo Secondat, ma non intentato dal Petrarca, ei così dice de’ Milanesi: Totam praeterea Rheni vallem colonis ab Augusto missis habitatam invenio; verum haec sedium mutatio non patriam ad quam pergitur, sed pergentes immutat. Itaque et Galli in Asiam, Asiani, et Itali in Phrygiam profecti, Phryges, et post Troyae excidium in Italiam reversi, Itali iterum facti sunt. Sic nostri, in Galliam vel Germaniam traslati, naturam illarum partium imbiberunt moresque barbaricos, et Mediolanenses, a Gallis conditi atque olim Galli, nunc mitissimi hominum, nullum servant vestigium vetustatis; ita vis coelestis