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che ciò non accadesse in una metropoli mantenuta in pace, situata in un fertilissimo terreno, sotto un sovrano che proteggeva e vegliava su i poveri e popolari, contenendo i potenti, che manteneva l’ordine pubblico e il facile corso alla giustizia: essendo la sede d’un principe che dominava diciasette città del contorno. Il carattere di Luchino è un misto di buone e di cattive qualità: cuore insensibile e mente illuminata per governare, unita a forza d’animo e valor personale, il che può formare un fausto principato, non mai un principe buono o grande; qualità generose, che hanno sempre per base un cuore buono. Le lacrime sparse alla morte d’Azzone erano un encomio per il principe trapassato, e un biasimo preventivo per quello che subentrava; simili desolazioni pubbliche si vogliono sempre dividere per metà. Luchino in fatti fu sommamente temuto per la sua risolutezza, per la sua implacabile severità, e per la sua profonda dissimulazione

Ostendebat de paucis curare et de multis curabat,

dice l’Azario.

Giovanni Visconti, figlio di Matteo I, fino dall’anno 1317 era stato canonicamente eletto arcivescovo di Milano; ma il papa, al quale dava non poco fastidio la rapida fortuna de’ Visconti, di propria autorità nominò e consacrò un altro arcivescovo, e fu, siccome dissi, il francescano frate Aicardo; il quale visse sempre ramingo ed esule dalla sua chiesa, dove appena potè ricoverarsi un mese prima della sua morte, accaduta nel 1339. Allora di bel nuovo gli ordinari elessero per la seconda volta Giovanni Visconti. I tempi erano mutati e, quantunque Giovanni avesse accettata la dignità di cardinale della chiesa romana dall’antipapa Nicolò V (dignità ch’ei però aveva deposta