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arrestato venne dai Pisani, che temevano le armi di Luchino, e a lui fu consegnato. Francesco Pusterla, trasportato a Milano, terminò la sua vita coll’ultimo supplicio. Un gran numero de’ suoi amici diedero al popolo lo stesso spettacolo; e quello che rese ancora più crudele la tragedia, si fu che la nobile e virtuosa Margherita dovette, al paro degli altri, finire nelle mani del carnefice. Il luogo in cui si eseguì la carnificina fu al Broletto Nuovo, cioè alla piazza de’ Mercanti, dalla parte ove alloggiava il podestà, ed ove vedesi la loggia di marmo delle scuole palatine collo sporto in fuori, da dove solennemente il giudice pronunziava le sentenze di morte. I nobili venivano ivi su quella piazza abbandonati all’esecuzione: all’incontro i plebei erano trasportati fuori di porta Vigentina al luogo del supplicio. L’industriosa sagacità adoperata da Luchino per cogliere nell’insidia il Pusterla, potrebbe essere una lode per uno sbirro o un bargello, ma è una macchia che disonora un sovrano. La crudeltà poi di far condannare all’orrore del supplicio una donna amata, in pena della sua virtù, è una macchia ancora più obbrobriosa e vile. Luchino esiliò dallo Stato i tre suoi nipoti, figli di Stefano, cioè Matteo, Barnabò e Galeazzo. La ragione di Stato forse giustificava un tal rigore, singolarmente dopo i sospetti di loro complicità nella congiura dell’infelice Pusterla. Pretendono alcuni che Galeazzo, il nipote, fosse anche troppo intimamente unito alla signora Isabella Fieschi, moglie di Luchino, e che il bambino ch’ella partorì, ed ebbe il nome di Luchino Novello, per questa cagione insieme colla madre vedova passasse poi a Genova, e non entrasse mai nella serie de’ nostri principi. Avrà avute quel sovrano le sue buone ragioni