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la celebrità. È vero che una nascente repubblica nel secolo duodecimo non aveva nè l’ambizione nè i mezzi che poteva avere un gran principe nel secolo decimoquarto, per tramandare ai posteri un’epoca gloriosa.

Le dieci città sulle quali dominava Azzone Visconti erano Milano, Pavia, Cremona, Lodi, Como, Bergamo, Brescia, Vigevano, Vercelli e Piacenza. Oltre le fabbriche pubbliche, delle mura, de’ ponti, delle strade, questo principe rifabbricò ed ornò, in modo meraviglioso per que’ tempi, il palazzo già innalzato dal di lui avo Matteo I, dove ora sta la regia ducal corte. Il Fiamma, autore allora vivente, ce ne dà una magnifica idea. V’era un gran numero di sale e di stanze, tutte fregiate di assai pregevoli pitture. Il gran salone era sopra tutto ammirato per le pitture eccellenti; il fondo era d’un bellissimo azzurro; e le figure e l’architettura erano d’oro. Quel salone rappresentava il tempio della Gloria, ed è strana la riunione degli eroi che vi si vedevano dipinti; Ettore ed Attila; Carlomagno ed Enea; Ercole ed Azzone Visconti. La storia era poco conosciuta in que’ tempi, e le idee della gloria e dell’eroismo non erano chiare. Queste pitture erano opera del famoso Giotto, che diede vita alla pittura, giacente da mille anni; e il Vasari ci attesta ch’ei da Firenze venne a Milano, e vi lasciò bellissime opere. È anche probabile che vi lavorasse Andrino da Edesia, pavese, uno de’ più antichi ristoratori della pittura, che viveva in quel secolo. Nè la sola pittura era premiata e promossa da questo buon principe, tanto più degno di stima, quanto che allora