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terra. Il volgo poi favoleggiò, e crede tuttavia, che ciò significhi la guerra di sant’Ambrogio cogli Ariani; coi quali il santo pastore non adoperò mai altre armi che la tolleranza, la carità, l’esempio e le preghiere. Sarebbe cosa degna de’ lumi di questo secolo, se nelle nuove immagini ritornassimo ad imitare le antiche; togliendo la ferocia colla quale calunniamo il pio pastore. Nelle monete milanesi da me vedute, le prime che portano quest’iracondia da pedagogo, sono posteriori di quindici anni alla battaglia; e le mie di Azzone, di Luchino e di Giovanni, hanno sant’Ambrogio in atto di benedire. Il conte Giulini ne riferisce una di Luchino collo staffile, ch’ei dice tratta dal museo di Brera: ora non credo che vi si trovi quella moneta; almeno nel museo di Brera a me non è accaduto di riscontrarla. Come mai questo fatto d’armi si rendesse tanto celebre, e come nei giorni fausti siasi tanto distinto il 21 di febbraio, e nessuna menzione trovisi fatta del giorno, ben più memorando, 29 di maggio, in cui l’anno 1176 venne totalmente battuto Federico I dai Milanesi, potrebbe essere il soggetto d’un discorso. Nel primo caso un ribelle che non aveva sovranità o Stati, fu sconfitto da un principe che dominava dieci città; nel secondo una povera città, che aveva sofferto i mali estremi, sconfisse un potentissimo imperatore che avea fatto tremare la Germania, l’Italia e la Polonia. Nel primo caso si combattè per ubbidire più ad Azzone che a Lodrisio; nel secondo si combattè per essere liberi, o per essere schiavi. Pare certamente che meritasse celebrità assai maggiore la giornata 29 di maggio. Ma la fortuna ha molta parte nel distribuire