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sopra Bergamo, Vercelli, Vigevano, Treviglio, Pizzighettone, Pavia, Cremona e Borgo San Donnino; e ciò nei primi due anni del suo principato. Indi diventò signore di Como; prese Lecco; fabbricò il ben ponte sull’Adda, che anche oggidì vi si ammira; s’impadronì di Lodi e Crema. A lui premeva anche Piacenza, ma ella era posseduta dal papa, col quale non conveniva di urtare. Francesco Scotti ambiva d’avere Piacenza, ed Azzone non lo stornò dall’impresa. L’ebbe Francesco; e allora il Visconti si pose in campo, la tolse all’usurpatore del dominio pontificio; e così, colla rispettosa apparenza di vendicare la Santa Sede, riacquistò Piacenza, che Galeazzo I, suo padre, aveva imprudentemente perduta. Azzone ebbe pure Brescia in dominio; e mentre così andava dilatando lo Stato, più per dedizione e per accordi, che per violenza delle armi, egli introduceva nella città una pulizia ed un ordine sconosciuto nei tempi rozzi precedenti. Abbellì egli le strade, e sbrattolle dalle sozzure; all’acque di pioggia, che prima le allagavano, diè sfogo con opportuno scolo nelle cloache; dettò provvide e moderate leggi per la conservazione dell’ordine civile: tutto in somma fu rianimato dalla cura indefessa di quel buon principe.
La gloria e la felicità di Azzone erano un tormento atroce nell’animo di Lodovico, ossia Lodrisio Visconti, cugino in quarto grado del principe. Lodrisio era buon soldato; pareva che fosse trasfusa in lui l’anima orgogliosa e forte di Marco. Già vedemmo come Lodrisio fosse celato in sua casa da Matteo, nel giorno in cui scoppiò la sollevazione contro del re Enrico. Veduto pure abbiamo come Matteo gli avesse dato il comando di Bergamo. Morto che fu Matteo, nessun caso più