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era del fratello, non lo volle secondare. I crocesignati in Monza si premunirono, ripresero animo, si prepararono una difesa contro di qualunque insulto; e Marco, deridendo Galeazzo, gli diceva poi: Fratello, va a Monza, che si vuol rendere. Otto mesi di blocco dovette spendere Galeazzo per averla. Infine poi, dopo di avere sofferti tutti i mali della fame e della libidine militare, Monza si rese il giorno 10 dicembre 1324; e così Galeazzo vide terminar la Crociata mossa contro di lui.
Mentre era Monza bloccata e abbandonata in preda alla violenza che usavano questi avanzi di un’armata collettizia, i canonici di San Giovanni di quel borgo avevano somma inquietudine che le rapine non si estendessero sopra del pregevolissimo tesoro della loro chiesa; il quale allora, siccome dissi, era valutato ventiseimila fiorini d’oro, oltre il pregio delle cose sacre antiche. Deputarono quindi quattro canonici del loro ceto, ai quali commisero di pensare a un sicuro nascondiglio, ed ivi riporlo. Fecero giurar loro un inviolabile secreto, da non rivelarsi se non in punto di morte. Poichè da essi fu eseguita la commissione, e il tesoro collocato, non si sapeva dove, il capitolo obbligò i quattro depositari del secreto a partirsene, e separatamente frattanto vivere altrove; acciocchè non potesse colle minacce, e fors’anco colle torture, costringersi alcun d’essi a parlare; e in potere di que’ licenziosi non rimanesse alcuno presso cui fosse il secreto. Pensare non si poteva più cautamente: eppure Monza perdette il tesoro. Uno de’ quattro canonici, che aveva nome Aichino da Vercelli, stavasene in Piacenza, ove venne a morte, e palesò il secreto a frate Aicardo, arcivescovo di Milano. Da esso ne fu bentosto informato