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alla verità, di togliere quest’ingrata e bassa accusa alla memoria di un uomo la di cui vita non presenta azioni nere; e mi piace pure di non lasciare al buon re Enrico un inganno, per mercede della bontà del suo animo. Matteo da Enrico non aveva ricevuto se non beneficii. Per lui aveva riacquistati i beni e la patria. Per lui il sommo potere non era più fra le mani di Guido, suo nemico, da cui doveva temere nuovi danni se cessava il potere d’Enrico. Quindi a me sembra poco verosimile la congiura di cui alcuni nostri autori lo voglion complice, e della quale minutamente descrivono persino i familiari colloqui di Guido con Matteo. Forse i Torriani con tai dicerie cercarono poi d’offendere la fama di Matteo, la sola che avevan forze bastanti per invadere; e gli scrittori ne furono sedotti facilmente; perchè riesce più frizzante la storia, quando più malignamente dipinge gli uomini; e lo storico signoreggia più, indicando ingegnosamente le cagioni, ancor false, anzi che raccontando i fatti soli, ove siano incerte le cagioni che li produssero. Io mi crederò onorato ancora più, rendendo un omaggio costante alla verità. Si può credere innocente anche Galeazzo, di lui figlio, il quale uscì armato; e, inalberando l’insegna della vipera, aveva radunato un buon numero di cavalieri, che marciavano dietro di lui pronti a combattere. Questo drappello marciava dal Bocchetto al Corduce; quando improvvisamente se gli fece incontro un grosso squadrone di Imperiali, in numero da non cimentarvisi. Gl’Imperiali, avevano già le lance in resta, ma Galeazzo, alzata la visiera, si diè a conoscere venuto per unirsi a combattere contro i sediziosi e in servizio del re. I Tedeschi erano comandati