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proponendo al consiglio d’assumersi la spesa per il viaggio de’ cento nobili. Aveva Niccolò Bonsignore fatto circondare dalle armi del re la sala del consiglio, quella cioè dove attualmente si trova l’archivio pubblico. Fatta ch’ebbe quel signore la proposizione, un cupo silenzio occupò tutta la sala, e non vi fu mai modo che un solo de’ consiglieri rispondesse alle molte istanze e interpellazioni di quel ministro. Credette Niccolò di essere deriso; e dopo inutili tentativi, partì dal consiglio lasciando gli ottocento radunati e custoditi dalle guardie, sì che nessuno potesse uscirne. Portossi immediatamente dal re, al quale esponendo l’ostinazione del consiglio, procurò di animarlo contro de’ Milanesi; gli significò come la città fosse inquieta; che fuori di porta Ticinese, ne’ prati ove scorre la Vecchiabbia, eransi veduti Galeazzo Visconti e Francesco della Torre in secreto misterioso colloquio, d’onde, non credendosi veduti, s’erano separati prendendosi per la mano in atto di reciproca promessa; il che fra due case cotanto nemiche non poteva indicare se non una congiura contro del nuovo regno; eccitò l’animo reale a farsi perfine temere da un popolo che non poteva guadagnare co’ beneficii, e chiese se dovesse trasportare in carcere i taciturni consiglieri, ovvero passarli tutti a fil di spada. Tale fu il bel parere che quell’italiano diede ad Enrico. Ma il re aveva un miglior naturale del suo ministro. L’ora è ben tarda, rispose il re; i consiglieri non hanno pranzato; licenziate il consiglio, e lasciategli andare alle case loro. Così rispose quell’augusto, il quale merita d’aver sempre un luogo onorato nella memoria di tutti i buoni. Così venne fatto. Questa nel saggio monarca era virtù, era umanità, nobile sicurezza e moderazione;