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conto dell’antica corona del tesoro di Monza, colla quale era tradizione che fossero stati incoronati gli antichi re d’Italia. Forse il far smarrire quell’antico cerchio è stata una minuta animosità di Guido della Torre; ma vi si supplì ben tosto con poca difficoltà da un fabbro, che formò d’acciaio una corona di ferro, a foggia di due rami d’alloro intrecciati. In quel giorno solenne il nuovo re d’Italia creò alcuni militi, siccome era l’uso di fare nelle grandi occasioni, e il primo nominato fu Matteo Visconti.
Sin qui la novità della venuta del re Enrico non aveva cagionato se non giubbilo e consolazione alla città. Ma terminata appena la incoronazione, venne convocato il consiglio generale; dove, entrando un ministro del re con un notaio, ricordò ai consiglieri radunati l’antica usanza del regalo da farsi all’imperatore nuovamente coronato; e, rivoltosi al notaio: scrivete, disse, ciò che una città sì grande e magnifica determinerà di offrire al nuovo cesare. Nessuno ardiva essere il primo a favellare. Un cupo silenzio regnò per qualche tempo in quella numerosa adunanza. Pure conveniva proferire; e il primo eccitato a parlare, per liberare sè medesimo d’imbarazzo, altro non seppe suggerire, se non d’incaricare uno dei più stimati fra’ consiglieri, a lui rimettendo il determinare la somma. Nominò poi Guglielmo della Pusterla; e tutti i consiglieri, contenti di questo disimpegno, replicarono il nome di Guglielmo della Pusterla: il quale, così impensatamente còlto, avrebbe pur voluto potersi liberare da quella briga, e uscire dall’alternativa o di mancare con suo danno ai riguardi verso del nuovo augusto, ovvero d’esporsi, pure con suo danno, ai venturi rimproveri de’ cittadini. Non v’è cosa buona che qualche volta non rechi incomodo;