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per proteggere alcun partito, ma per fare indistintamente il bene, e senza parzialità, a tutti; ch’egli voleva la pace e la concordia; ed in prova indicò i signori che unitamente sedevano sui gradini del trono. Questi benèfici sentimenti, la vista inaspettata e tenera di due famiglie irreconciliabili, rese tranquille dalla felice autorità del monarca, fecero che il popolo scoppiasse in lagrime di gioia e in applausi al virtuoso e benigno principe; e così l’eloquenza del cuore della moltitudine coronò, nella più sensibile maniera e nella più fausta, il principio della nuova sovranità, anche prima della sacra cerimonia, che si celebrò poi in Sant’Ambrogio il giorno 6 gennaio 1311; dove l’arcivescovo di Milano, assistito da due arcivescovi e da ventun’altri vescovi, solennemente incoronò colla corona ferrea del regno d’Italia il nuovo augusto. I due arcivescovi assistenti furono quei di Treveri e di Genova. I vescovi furono di Liegi, di Ginevra, d’Asti, di Torino, di Vercelli, di Novara, di Bergamo, di Padova, di Vicenza, di Treviso, di Verona, di Mantova, di Piacenza, di Parma, di Reggio, di Modena, di Lucca, di Brescia, di Lodi, di Como e di Trento. Questa solennità fu resa più augusta dall’assistenza del duca d’Austria, del duca di Baviera, del conte di Lucemburgo, fratello dell’imperatore, del conte di Fiandra, del conte di Savoia del Delfino, del marchese di Monferrato, e di gran numero d’altri baroni e signori italiani e tedeschi. Il vescovo di Vercelli ebbe l’onore di cingere la spada al re, al quale vennero con cerimonia consegnati il pomo d’oro, lo scettro e la verga, prima che l’arcivescovo terminasse il rito, imponendogli la corona. È degno di memoria un fatto, ed è che non fu possibile per quante ricerche se ne facessero, di ritrovar