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un avviso dal maresciallo, che Guido della Torre non voleva sbrattare dal suo palazzo per lasciarlo al re; e che non voleva licenziare i mille armati del suo stipendio. Il re, scostatosi dalla via pubblica, chiamò a parlamento i suoi. Nessuno ardì di consigliargli il partito ch’egli saggiamente prese. Spedì rapidamente avanti di sè l’ordine che il maresciallo al momento pubblicasse in Milano il comando, che ciascuno uscisse incontro del re fuori della porta della città. La sorpresa, la fama già precorsa della bontà di quel sovrano, l’amore delle cose insolite, naturale al popolo, che sente i mali presenti e si lusinga d’un favorevole cambiamento; la maestà d’un augusto, la noia de’ Torriani, tutto in un momento si riunì, e fece uscire i Milanesi affollati fuori della porta della città ad incontrare l’imperatore. Guido della Torre, per non rimanere solo, s’indusse egli pure ad uscire; e fu degli ultimi. A misura che il re s’andava accostando alla città, cresceva il numero de’ Milanesi che gli rendevano omaggio. I signori cavalcavano, secondo l’uso di que’ tempi, col loro scudiere, che portava innalberata la loro insegna; e a misura che compariva il re, le insegne si abbassavano per riverenza. Presso le porte, al fine della città, comparve Guido della Torre, preceduto dal podestà, che in quell’anno era Ricuperato Rivola, bergamasco. Il podestà umilmente presentò al re il bastone del comando, ch’era il distintivo della sua dignità; il re lo prese, indi graziosamente glielo riconsegnò. Guido della Torre teneva immobilmente innalberato il suo stendardo; e alcuni del seguito del re de’ Romani, ragionevolmente sdegnati di questo inopportuno orgoglio, si scagliarono sullo scudiero, glielo strapparono dalle mani e lo gettarono nel fango. Sconcertata così ogni pretensione