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il cappuccio, si gettò a’ suoi piedi, e raccomandò alla giustizia e clemenza sua la persona propria e i suoi. Fu accolto con molta grazia dal re. Dicono i nostri scrittori che nella stanza medesima vi fossero varii altri signori delle città lombarde, e fra questi il conte Langosco; che Matteo, poichè ebbe reso omaggio al re, si accostasse per abbracciare il conte, dal quale villanamente gli fossero voltate le spalle; il che desse luogo a Matteo di ammonirlo, esser tempo omai di por fine alle inimicizie private, e di servire tutti d’accordo all’utilità pubblica sotto di un così benigno, così giusto e così grazioso monarca. Se questo fatto è accaduto, egli è certamente lontano dai nostri costumi, che non permettono in faccia del sovrano di essere occupati da simili personalità. Si dice di più, che ivi rabbiosamente taluno rinfacciasse a Matteo Visconti d’essere il perturbatore della Lombardia; e che Matteo, sempre padrone de’ suoi moti, pacificamente indicando il re, null’altro rispondesse se non: ecco il nostro re, che darà la pace a ciascuno. Se ciò avvenne, la inurbana ostilità de’ suoi nemici dovette dare risalto alla cortese moderazione del saggio Matteo. Il re, sorridendo, terminò il discorso col dire: la pace per metà è già fatta; a me spetta il compierla. Così racconta il Corio.

Guido della Torre frattanto se ne stava in Milano. Egli alloggiava nel palazzo fabbricato quindici anni prima da Matteo Visconte, allora vicario imperiale dell’imperatore Adolfo; il qual palazzo era situato dove oggidì vi è la real corte arciducale. Guido aveva al suo stipendio mille soldati