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et præcipue Mediolanensium, domare debet imperator cæteras nationes. Il punto era assai scabroso per Guido della Torre, il quale, come capitano perpetuo, sedeva nel consiglio. L’opporsi alla domanda, era lo stesso che il dichiararsi apertamente ribelle; la domanda era giusta, conforme alla pratica, e fatta colla maggiore onorevolezza; nè si poteva contrastarla, se non innalzando lo stendardo della fellonia; e Guido non era sicuro d’essere secondato dalle altre città, ossia da’ molti vacillanti principi che le reggevano. L’aderire alla richiesta era lo stesso che porre nelle mani del nuovo eletto la città, la signoria acquistata, e la propria persona. Promettere tutto, e mancare poi, non lo permetteva il carattere di Guido. L’imbarazzo era grande per darvi una risposta; e chi lo sciolse fu un di lui amico intimo, un giureconsulto che sedeva nel consiglio, Bonifacio da Fara. Incominciò questi un discorso ampolloso, magnificando primieramente la maestà del romano Impero, il rispetto dovuto al trono augusto, la divozione che sempre la città di Milano aveva dimostrato ai cesari benèfici; passò quindi a trattare della venuta degli augusti nell’Italia, per ricevere la corona d’oro in Roma, dopo essere incoronati col ferro in Milano, e coll’argento prima nella Germania; viaggio di somma importanza e per il sublime personaggio che lo fa, e per la sacra solennità che viene a celebrarvi; poscia discese a trattare della venerazione che meritava il vescovo di Costanza, non meno per l’episcopale dignità, che per l’importantissima legazione che eseguiva, rappresentando il più gran monarca del mondo; e dopo una lunga amplificazione concluse, essendo perciò quest’affare della maggior importanza, o si risguardi l’eccelso principe che lo promoveva,