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le città lombarde, degli appoggi, delle amicizie, degli odii di ciascuno, delle loro forze, dello stato di ciascuna città: il che alla venuta che fece poi Enrico nell’Italia, lo trovò esattamente vero. Il Garbagnate non mai dimenticava ne’ suoi discorsi con Cesare il suo Matteo Visconti, di cui la fedele divozione all’Impero, la bontà, la prudenza, la moderazione, il disinteresse, la beneficenza e tutte le virtù venivano poste in tal lume da invogliare l’imperatore a conoscerlo, e preparare la confidenza in lui, come il più conveniente di ogni altro per terminare le intestine discordie, e far rivivere l’autorità dell’Impero sulle città lombarde, tosto che ei fosse tratto da quell’oscurità in cui la capricciosa fortuna l’avea gettato.

L’eletto imperatore si dispose a venire nell’Italia, ove disegnava di ricevere la corona del regno italico prima, indi la imperiale. (1310) Egli previamente spedì a Milano il vescovo di Costanza, il quale, nell’aprile dell’anno 1310, si presentò al consiglio generale; ed ivi ricercò, seguendo l’antica pratica usata nel viaggio dei cesari, che la comunità facesse accomodare le strade e i ponti per dove il nuovo augusto doveva passare; ed avvisò i conti, i baroni e i vassalli tutti che si portassero alle Alpi ad incontrare il sovrano. Lo storico milanese Giovanni da Cermenate, che viveva in que’ tempi, espone l’arringa officiosa di quel vescovo; il quale, fra le altre cose, disse che Enrico di Lucemburgo, incoronato già in Acquisgrana col diadema d’argento, aveva destinato di ricevere in Milano la corona di ferro; Quod, clarissimi cives, significat, quod sicuti per ferrum et istrumenta ferrea cætera metalla domantur, sic per salubre consilium, nec non praeclaram armorum virtutem italicorum,