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per parte del consiglio degli ottocento; ma anche a ciò era posto tal sistema, che fosse una mera apparenza di libertà. Ecco nel giuramento istesso cosa fu ingiunto al podestà: Item che fusse tenuto con quello consiglio meglio li parirebbe (al podestà), con dui homini per porta, elegere la mità de la mità del consiglio de li octocento, che spectava a la societate de’ capitani e valvasori, cioè ducento de li predicti, e ducento fusseno electi a sorte secondo la consuetudine, e in questa forma fusseno electi li quatrocento appartenevano ala societate de Mota e Credentia. Da ciò vediamo come non rimaneva più nemmeno alla città la nomina dei suoi rappresentanti. Il consiglio che rappresentava la repubblica, ogni anno si cambiava: era composto di ottocento, la metà nobili e la metà popolari; la metà di questi consiglieri era nominata dal podestà, che aveva giurato di obbedire ai mandati di Napo della Torre; la sorte faceva eleggere il rimanente, se pure anche questa sorte non era una mera apparenza. Così il consiglio era unicamente una macchina destinata a lasciar credere che ancora vi fosse una repubblica, mentre la città era governata dal valore di un uomo solo; il quale, vigorosamente contenendo i nobili, lasciava che il popolo gliene sapesse buon grado: quasi a ciò venisse sollecitato per sola benevolenza, affine di preservarlo dall’oppressione, mentre egli teneva nell’umiliazione i suoi emuli. Le corti bandite, le mense generosamente esposte sulle strade a piacere del popolo, gli spettacoli pubblici di giostre e tornei, un costume semplice, affabile, popolare, tutto si univa in Napo per renderlo l’uomo il più opportuno ad istabilire una nuova sovranità senza che il popolo se ne avvedesse.