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Giulini. La lunga discordia, dic’egli, de’ nostri ordinari fu ad essi molto nociva, perchè a cagion di questa sofferì un gran crollo il loro antico insigne diritto di eleggere l’arcivescovo. Alcuni de’ nostri scrittori attribuiscono il fatto di Martino della Torre a ciò che, invogliatosi il legato d’una preziosa gemma del tesoro di Sant’Ambrogio, da essi chiamata carbonchio, cercasse colla sua autorità di appropriarsela; per lo che i canonici erano assai imbarazzati, e Martino per tal modo li trasse d’inquietudine. Altri credono che il legato si adoperasse per escludere dall’arcivescovado Raimondo della Torre; e sembra così più verosimile la cagione del vigoroso partito preso da Martino. Ma questa inaspettata elezione d’un arcivescovo fatta dal papa, doveva cagionare sorpresa nella città, negli ecclesiastici e nella signoria. In fatti Martino della Torre e il marchese Pelavicino, intesa ch’ebbero tale novità, occuparono immediatamente tutti i beni dell’arcivescovado. Il papa, senza indugio, pose la città di Milano all’interdetto. Poco dopo, in Lodi, venne a morte Martino della Torre, e prima di morire ottenne che il popolo di Milano eleggesse alla sua dignità Filippo, di lui fratello, siccome avvenne, ed ebbe il titolo di podestà perpetuo del popolo; ma ne godette poco, poichè morì improvvisamente, e gli fu successore Napoleone, ossia Napo della Torre, figlio del famoso Pagano.
I signori della Torre andavano crescendo sempre più in potenza. L’arcivescovo Ottone Visconti aveva un nome vano; ma, esule dalla patria, non poteva ricavare cosa alcuna, nemmeno dalle terre arcivescovili, occupate dai Torriani. L’interdetto e