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jus sextarii. Ma nemmeno di questi tributi sopra i pesi e le misure colava alcuna somma nell’erario della Repubblica. V’erano anche allora i diritti esclusivi di poter tenere osteria nelle terre e di vendere vino minutatim ad modum tabernae, come da una carta dell’archivio di Monza pubblicata dal conte Giulini. Ma di essi non pare che fosse al possesso la comunità di Milano. Erano dritti posseduti da privati. Da ciò facilmente si comprende che pochissima rendita doveva avere la Repubblica, e quella sola che proveniva dai delitti i quali, per l’antica tradizione longobardica, erano condannati con pene pecuniarie. Ma questa rendita era insufficiente, massimamente ne’ bisogni straordinari; tanto più che le terre dei banditi si abbandonavano senza cultura, con incauto consiglio, se puramente si consideri l’economia pubblica; ma non affatto senza ragione, qualora si rifletta a que’ tempi burrascosi, nei quali conveniva che nessuna utilità uomo alcuno potesse ritrarre dalla rovina d’un cittadino. Una legge è come una fabbrica d’architettura; conviene averla osservata da tutt’i lati, prima di poterne dare una opinione ragionevole; e le più strane talvolta, in alcune circostanze, sono le più sapienti. Per riparare la miseria della Repubblica già s’era, l’anno 1228, fatto un decreto per cui sei eletti aver dovessero l’ufficio di censura e conoscere ogni amministrazione pubblica; ed è una prova della difficoltà somma che s’incontrava nelle elezioni per il contrasto dei partiti, l’osservare come il decreto stabilì: che diciotto uomini si scegliessero a sorte, e di questi se ne eleggessero